mercoledì 22 luglio 2009

Post che nessuno mai leggerà interamente

VRUOOOM!PEM! POING! Sull’aereo inacidato, il cielo sussulta tra un vuoto d’aria e l’altro si distorcono le mie percezioni, le poltrone vibranti fanno posto ai nostri piccoli terrori, alle bolle nelle orecchie che ululano con fitte acute uooooouuun e nello zodiaco ci libriamo e i miei disturbi intestinali si fanno sentire, ma tutto questo prima di arrivare raggelati in un aeroporto notturno e di essere etichettati come italiens molesti. Tef e Orso euforici che abbaiano i loro discorsi infastidendo un bougeois con puzzalnaso, io che sulla pista d’atterraggio calcio una bottiglia di plastica e vengo ripreso senza troppa convinzione da Jim Carrey pelato. Da un recipiente per liquidi si può generare il caos, duecento cadaveri per un intruso che si pone come ostacolo tra gli uccelli di lamiera e il cielo. Il pulman si inietta nelle arterie di Paris incastrate tra palazzotti luminosi. E l’hotel Lafayette, generale che importò dall’america la rivoluzione e un cappello nuovo (cit.) ora teatro di un club ultraprivè, con bodyguard figli illegittimi di Tyson e riservato a donne bionde, la Parigi di ieri e di oggi. Boh. Magari Lafayette aveva dei superparty con morfina e donnacce di mezza età con l’ano sfondato. Fattostà che all’ostello Ducks3Hostel (??cazzo di nome), qualcosa non ha funzionato e ci scaricano sul pavimento nella stanza delle valigie, mimetizzati tra zaini e borsame a dormire. I presupposti per il disastro erano già chiari quando, ancora in Italia, Tef si era reso conto di non aver preso la carta d’identità (poi recuperata grazie alla madre). Ci accontentiamo. La donna più bella della mia vita sta al bancone, io inizio a raccogliere la mia bava nel palmo della mano. Poi lei sgambetta verso il bagno, con l’adesivo dei miei occhi appiccicato in ogni dove, mi risponde voltandosi con gli sventolanti rossi capelli. Non ci sto più, devo agire. I miei compagni mi deridono. Ecco, è di nuovo a terra, c’è cascato come un fungo. No, figli di puttana appena esce le parlo e ce la spassiamo, appena esce le tappezzo il pavimento della mia carne e la faccio regina di parigi, scopiamo, ci sposiamo, abbiamo figli su figli, poi lei muore di cancro e io mi tolgo la vita abbrancicato a quel che resta della mia amata. Poi mi giro e lei sta limonando un rabberciato mediocre francesotto di provincia, di quelli che ambiscono a una tanica di birra come appagamento spirituale. Mi deridono “AAAAH”, ma le bolle nelle orecchie ovattano tutto in un “OOOOH”. Si girano tutti i clienti a contemplarci sdegnati. Poi andiamo alla Tour Eiffel.


P. Parigi città violenta
Nell’oscurità un nugolo di indiani ci viene a spacciare vino e spumante nel parco della tour che si staglia nera con due occhi sanguinosi, pare una giraffa infernale. Facciamo amicizia con dei giovinotti sbronzi sul prato, ci sbronziamo e facciamo giravolte linguistiche con uno stereotipo messicano che chiamiamo Pedro (ma è senza sombrero) e un’ ubriaca francese naìf con la quale alla fine conveniamo che nessuno di noi parla africano. Bòn, salutiamo Pedro e ci involiamo alla volta del sogno americano, la ricerca della felicità: trovare fumo. Sotto la Tour Eiffel rincoglionito da alcool annacquato inizio a fantasticare di essere sotto l’ano della Francia, ma non so dove finiscano le sue escrezioni blu bianco rosse, mi complimento con me per la trovata e sbocco lo spumante. Siamo in Francia da tre ore e già siamo a correre urlanti sui ponti, a masturbare statue, a danzare insieme a tunisini suonatori di bonghi che si complimentano con Axel “You’re like Maicol Jeckson”. Poi la tragedia. Facciamo amicizia con metà gruppo di algerini. Uno è fatto di coca e alcool. Va verso Orso gli tira un calcio, poi gli schiaffa sulla guancia la sua manona. Sento un casino e mi giro. Vedo il mio amico sdraiato in terra con l’espressione sperduta e terrorizzata, in un lago di sangue. Stiamo morendo di paura, ma tutto ci sembra irreale nella luce arancione dei lampioni. Il tipo inizia a sclerare brandendo una bottiglia, il suo socio cerca di fermarlo, sento i vetri infrangersi sul pavimento. “via!Via!”, scappano tutti reggendo Orso, io mi trattengo ancora un attimo, volevo reagire, tutti volevamo, ma non era la cosa giusta da fare. “Stoppit, cazzo, stoppit!”, riesco a urlare, il suo amico lo tiene ancora immobilizzato e riesco a mettermi in salvo. Che coglione. Mi fermo a un albero a pisciare. Nella notte parigina ritrovo i miei compari: il malmenato ha un bernoccolo, un taglio sulla guancia ed è sporco di vino. Cioè granparte del sangue che avevamo visto era vino. Concludiamo il tutto cercando una fontana per ripulirsi dall’emoglobina. Siamo in Francia da 4 ore.


A. Ogni Francese ha il miglior amico spacciatore
Le nostre palpebre si aprono alle otto di mattina, siamo incrinati, fusi, allappati. Rimproveriamo la città di non rifornire i suoi visitanti di stupefacenti erbacei. Siamo già abbastanza in aria per la sera prima ma come dice Orson Welles: ”Se ti svegli sballato, un cannone ti fa ripigliare”. Giàggià, siamo a sfondo monotematico… comunque notre dame ci basta come ricarica spirituale, Axel fa il moonwalk durante la messa e un anziano lo rimprovera aspramente, il dito indice alzato della somma verità, della via della pazienza e saggezza, tutte quelle cose di cui non disponiamo e che lui ci rinfaccia di possedere. Comunque parlava francese, magari ci chiedeva se gli prestavamo un succo di frutta. FIUUUM! Sgattaioliamo in vari parchi, salutiamo le giappe sopra i traghetti che ci rispondono felici di esser partecipe di eventi folkloristici occidentali di tale portata. Orso sta male per la sberla di ieri e se sente la febbre, io e Ababio lo scortiamo dritto al Ducks3Hostel(??cazzo di nome). Tef, Axel e Dimitri vanno a Montmartre. Notiamo comunque che la capitale franca è ricca in ogni donde di materiale degno di penetrazione. Notice! La nostra stanza è chiusa fino alle quattro, dobbiamo attendere a un tavolo con un febbricitante, giocando a domino, senza capire come si giuoca a domino. La stanchezza ci uccide, mi addormento sul pavimento, fino a quando Tef non giunge preoccupato, agitato, in preda agli spasmi di ansia. “Dimi e Axel sono fuiti in metro con degli energumeni che li hanno condotti alla felicità! Mi hanno detto che se non dovessero tornare son morti per una giusta causa”. Non disse esattamente queste robe, fatto sta che tutti eravamo agitati. Ma dove sono di qui, ma dove sono di là, alla fine ti arrivano trafelati ma soddisfatti, sventolando un sacchettino con il sogno americano. Questo capitolo sembra scritto da un disabile con una monomania acuta. Vabbè. Tef diventa ridente e molesto, io mi scapezzolo, nessuno capisce più un diavolo,introduciamo anche alcool, lordato ovunque. Insomma nel giro di un pomeriggio infrangiamo tutte le regole affisse all’entrata del leggendario Ostello.


R. Le tombe sgargianti sono donne anziane coperte di trucco pesante
Ci svegliamo assai tardi. Oltre l’orario in cui avremmo dovuto lasciare la stanza alla donna delle pulizie. Sì perché c’è una faccenda interessante… Questa era l’ultima notte vissuta da comuni mortali, la notte seguente l’avremmo passata barboneggiando per le strade, addormentandoci sulle scalinate di nonsodove, in una strada di nonsodove. Quindi tiriamo i nostri pesanti zainoni out of the stanza. Ci ritroviamo al cimitero di PereLachaise, dopo le mie pressioni per un peregrinaggio alla tomba di Jim Morrison e Oscar Wilde e chissà perché pensavo anche Baudelaire, ma il vecchio caprimulgo aveva afferrato la sua bara e se n’era fuggito a Montparnasse con un po’ di assenzio come compagno di vitto e alloggio. Mi ritrovò quindi a faccia a faccia con le ceneri del re lucertola illuminate da un sole gioviale. Mentre lo accosto spira il vento e inizio a sentirmi sazio e appagato in modo trascendentale, metafisico. Uno degli scopi prefissati nella mia vita era colmato. Più tardi avrei dichiarato:
“Sono stato sulla tomba di Jim e ho percepito il suo spirito aleggiare quei luoghi sottoforma di sensazioni euforiche. Non alberga le mie fredde ossa, ma per un attimo mi è parso ci fossimo congiunti in una sola essenza...”.
Satori, satori a Parigi, l’illuminazione improvvisa, proprio come quello sbronzo di Kerouac. Mi ritrovo per caso davanti a uno schifo di tomba di Honorè de Balzac. Le tombe sgargianti sono donne anziane coperte di trucco pesante, cercano di mantenere l’illusione dell’ importanza, o della bellezza. Ma l’appariscenza, la maestosità di un alloggio mortuario non è stabilito in base al valore del suo abitante, spiacente Foscolo, bensì in base alla sua ricchezza. Il povero Honorè ha una protesi alla Memoria decisamente scorticata. Durante la visita Ababio si aggira per conto suo e si rinchiude per due minuti al buio nella tomba di un perfetto sconosciuto. “E’ stato strano”, “Perché strano?”, “Quante volte ti è capitato di stare dentro una tomba?”, il ragionamento non fa una piega. Comunque al cimitero si scioglie la compagnia dello spinello e ognuno và per la sua vie. Io e Axel ci disperdiamo, sbagliamo metro, poi si disperde Ababio dentro il Louvres e non lo rivediamo fino a quella sera. Io e Orso pucciamo i piedini nella gelida fontana del Museo, sotto la Piramide di vetro. In un attimo ci ristabiliamo, le nostre carni hanno cessato di gemere sotto il tallone, il nostro passo non è più affaticato. “Ma cazzo, altrochè, dovrebbero chiamarlo Museo del Lourdes”


I. Fuck € Cash
Non vi annoierò oltre con particolari di retrogusto turistico, anche se buona parte di voi sarà giunta qui cercando su google il nome dell’ostello. Visti Champs Elyseè (con l’immancabile cover dei NOFX), Arco di Trionfo, con manifestazione di veterani deretani in divise militari, aver ivi atteso la venuta del perduto Ababio, per poi scoprire che lui aveva capito di doversi ritrovare a un altro arco, per poi scoprire di aver perduto il cellulare, comecacchio è possibile diomio, esser tornati all’ostello (anche se depauperati di una camera stavamo ai tavolini fuori), averci malamente provato con una giappamericana carina chiedendole un aspirina e dopo aver mangiato, decidiamo di passare tutta la notte come clochards a Montmartre. Ci ricongiungiamo al nostro amico e Dimitri, che è un esperta guida, ci conduce al nostro obiettivo. La località è ricca di animazione e un gruppo di nigga strafatti è appostato a una panchina. Due ragazze del gruppo sullo stile “Yeah, man I’m a mothafuckin’ bitch, fuck your asshole!”, mi circondano facendo commenti sull’oiseau, che per il mio francese elementare so significare “uccello”. Mi sento lusingato per l’importanza del mio membro ad honorem, che tanto infonde ammirazione e meraviglia nei discorsi delle due tipe. Mi viene il sospetto che siano appunto mothafuckin bitches. Poi, no, mi spiegano, cioè, anche se comunque non capisco un granchè nonostante sia giunto anche axel a darmi man forte col suo francese maccheronico, che nel loro gergo oiseau è la grana. Bitches1:”Peace & Love!” Io:”Yeah, I agree” Bitch2:”Nonò, Fuck, fuck & Cash!” Io: “Ohuu, l’ oiseau” Bitch2:”Yah, man” Io:”Materialist”. Alla fine mi offrono un tiro del loro sei mesi e ci vendono sogno americano fresco fresco. I tipi alle loro spalle ci rendono un po’ paranoici dopo il pestaggio di due sere fa. Fuggiamo. Qualche minuto dopo salutiamo gli ubriachi che ballano al suono della chitarra. Troviamo un beat boxer che bumbumma in un anfiteatro affollato. Poi mentre assistiamo a dei suonatori di strada due tipe prosperose sulle scale che ci chiedono in Italiano una sigaretta, decidiamo che dobbiamo scroccare un pezzo di pavimento dove dormire a casa loro.


Z. Oui, nous sommes le clochards de Bergamò
Siamo un pò fatti in uno pseudocentrosociale sul San Martin. Ci siamo fatti condurre qui dalle due prosperose italiche in vacanza studio qui in Francia. Facile capire che Viola e Francesca ci lasceranno morire all’addiaccio sotto un ponte e una scatola di cartone piuttosto che ospitare sconosciuti potenziali stupratori a casa loro. Comunque sono tipe apposto, dentro il centro a cui ci hanno portato c’è una piccola mostra di vignette satiriche che come soggetto comprende anche il pluricitato Silvio, rappresentato con il pene tristemente decadente, ma l’espressione vigorosa, mussoliniana. Bueno care mie, ci affezioniamo un poco, ma loro il giorno dopo hanno scuola e non possono stare in giro tanto, o fare l’amore fino all’alba. Pigliano la bici e volano fuori dalla nostra notte giovane. Giovane e insonne. E fredda. Cerchiamo un posto per dormire, mentre con un tempismo impeccabile inizia a piovigginare. Dobbiamo tirare fino alle 5.30 del mattino quando passerà il primo metro che ci porterà al pulman, che ci porterà all’aeroporto, che ci porterà in italia ad un altro pulman e così via… Le due socie ci consigliano il planetario ove andare a dormire, lo troviamo, ovviamente chiuso. Allora ci mettiamo sulle scalinate dell’ otturata fermata del metro, Tef, Orso e Axel che giuocano a carte, Dimi ascolta musica e Ababio pure. Io dormo. Si unisce a noi un vero anziano clochard, con una bottiglia in mano e l’espressione un po’ melanconica, un po’ ironica. Biascica qualche parola tra sé. Fa freddo, passano correnti d’aria e pioviggina ancora, decidiamo dunque di farci un giretto. Salutiamo l’amico barbone e ci fermiamo a una panchina con un anguria sfasciata che ha inondato l’asfalto sotto di noi di fresco succo rosso. Inizia ad albeggiare un po’. Vediamo tornare a casa dal lavoro gente di tutti i colori, ridono tra di loro un po’ sonnolenti, i parigini portano i loro cani a fare i bisogni e avvolgono con perizia i loro stronzi in ruvidi fazzoletti di carta, che poi regaleranno all’amata come degli romantici stercorari. Mi faccio trascinare dagli eventi in preda a un sonno che mi rintontisce, mi trovo su un aereo qualche tempo dopo, con un pilota alle prime armi, mi trovo a Bergamo che mi sembra un paesino di campagna in confronto a Parigi, mi trovo nelle strade del mio paese così scontate e inanimate. Mi trovo su un letto a russare con mia madre che mi chiede qualcosa e io sogno parole e persone che al risveglio sbiadiscono, come chiazze rosse sulle guance di un ubriaco. Poi mi sveglio che è sera. Respiro profondamente. Vado a comprare due bottiglie di latte.

domenica 12 luglio 2009

Se

Se un giorno
i pesci stanchi di navigare
sui mari salati decidessero
di sancire una tregua
all’atavico amoroso inseguirsi
di onde schiumose e nuvole,
impedendo
così
alla Terra
di fare capriole nel vuoto
allora,
un coperchio
di ruvido cartone nero
sarebbe sospeso
tra il cielo diurno e l’oceano,
e partorirebbe la notte eterna.

Se così fosse dunque
l’Universo piangerebbe grandine,
forando con piccoli buchi
la nera scorza del coperchio,
dai quali il Giorno
si affaccerebbe
per guardare l’innamorato marino
e dare vita alle stelle
rilucenti
cangianti
da fori di cartone.